C’è qualcosa di sfilacciato nell’aria del nostro tempo.

Tutto sembra non succedere davvero, invece, tutto accade nello stesso istante.

Le parole si svuotano proprio mentre vengono dette, rimbalzano per un po’ e poi si dissolvono.

La politica rincorre il ritmo, si traveste, cambia tono, imita il linguaggio di un pubblico che non ascolta più veramente.

Sotto la superficie, resta la stessa fatica di sempre, quella di chi tenta di comunicare, ma finisce per perdersi nel rumore.

Per essere rumore.

Dentro questa nebbia, la Sinistra italiana continua a cercare la propria voce, inciampando spesso nelle stesse parole che vorrebbe usare per rialzarsi.

O forse, più semplicemente, non si accorge di non saper comunicare.

Ed è un problema serio – non solo perché parliamo del principale partito d’opposizione, ma perché in gioco, oggi, c’è molto più di una campagna elettorale.

C’è l’idea stessa di democrazia.

In un tempo in cui tornano a imporsi figure come Trump, Meloni o Netanyahu, il tema non è solo chi governa, ma come si racconta e si esercita il potere, come si difendono le libertà, come si custodisce la Costituzione.

Gli errori, nella comunicazione della Sinistra – dicevamo – sono molti.

E in queste righe proveremo a metterli in fila, uno per uno.

Volendo restare fedeli all’immagine iniziale, si percepisce un tentativo – forse dettato dal timore di spaventare o di alzare troppo i toni – di minimizzare i pericoli reali che il nostro scenario politico sta assumendo.

Una cecità, voluta o meno, che non premia.

Perché negare l’esistenza di una crisi democratica – la prima vera, nella cosiddetta Terza Repubblica – non significa rassicurare l’elettorato, ma disorientarlo.

Non abbassa i toni.

Li lascia, invece, in mano a chi li esaspera.

Il risultato è uno scollamento crescente, una perdita di fiducia che diventa automaticamente perdita di consenso.

Ed ecco che la Sinistra appare sospesa, come se vivesse in un mondo parallelo dove essere i mediatori, essere i “responsabili”, rappresenta ancora una virtù.

Ma non lo è più.

O almeno, non in tempi come questi.

Oggi gli elettori cercano l’equilibrio: chiedono chiarezza, posizione, opposizione.

Vogliono che le parole tornino a dire qualcosa, in modo diretto, semplice, vero.

La Sinistra continua a credere che, anche nell’epoca dell’ipnocrazia, siano i fatti a parlare.

Non è così.

Non lo è mai stato, e oggi meno che mai.

In un tempo in cui ogni fake news si autoalimenta, ogni visione genera la propria realtà, a contare non è ciò che accade ma ciò che si racconta.

E, soprattutto, come lo si racconta.

Le persone scelgono sulla base di ciò che le colpisce allo stomaco, non sulla base di una tabella dati.

Conta l’emozione, conta il frame.

È la prima regola di ogni campagna elettorale: chi sceglie la cornice vince, chi rincorre perde.

E la Sinistra, priva di una visione netta, rincorre continuamente quella degli altri, finendo solo per rafforzarla. Basta fare una analisi neanche troppo attenta di quello che accade sui social del Partito Democratico: non fa che rispondere agli attacchi, allo stesso modo, di Fratelli d’Italia. Rincorre, non propone.

Accade anche perché da tempo si percepisce come una sorta di casta morale, convinta di rappresentare “gli ultimi” – che, tra parentesi, si sono anche stancati di essere definiti così. Difendere non significa esibire la sofferenza altrui nei comizi, raccontare della casalinga che non riesce a riempire il carrello o del ragazzo fuori sede che non trova una stanza sotto i settecentocinquanta euro.

Significa capire quella fatica e restituirla in parole che non sembrino scritte per un seminario universitario.

Invece la Sinistra, anche quando dice cose giuste, le dice male: complica, astrae, gira intorno ai concetti finché non resta più nulla di vivo.

E in quel momento, più che empatica, appare distante.

Elitaria e autoreferenziale.

A rendere il quadro ancora più complicato c’è il problema principale: la Sinistra non sa più tenere i conflitti dentro casa.

I panni sporchi – diversamente da come accade dall’altro lato – non si lavano in famiglia, si stendono direttamente in piazza, televisiva, digitale o radiofonica che sia.

Le fratture tra esponenti, dichiarazioni incrociate, frecciate e smentite pubbliche alimentano solo la sfiducia.

E allontanano, lentamente ma inesorabilmente, anche gli elettori più fedeli.

Che ormai si aspettano il litigio.

Le persone, oggi più che mai, cercano figure carismatiche, punti fermi, qualcuno capace di incarnare un’idea.

Lo dimostrano i risultati elettorali degli ultimi anni: la forza di un leader, per quanto controverso, vale spesso più del programma.

Se ci pensiamo bene, è ciò che ha fatto la fortuna di Renzi dopo la stagione di Bersani.

Gli elettori non cercano perfezione, cercano una guida.

E finché la Sinistra continuerà a mostrarsi come un coro dissonante, sarà difficile che qualcuno voglia tornare a seguirla.

La comunicazione, per definizione, avviene almeno in due.

Se questo non accade, resta un monologo.

E un monologo può funzionare a teatro, non in politica, dove in gioco ci sono la vita e il futuro di chi ascolta.

Per rappresentare qualcuno, bisogna parlare la sua lingua.

Non serve un genio, basta la volontà di ascoltare, di osservare, di studiare chi si ha di fronte.

L’idea di essere, a prescindere, il campione della parte migliore del Paese non convince più nessuno.

In un’epoca in cui tutto scorre a velocità vertiginosa, la complessità non è un valore in sé e se non viene tradotta e semplificata, resta solo rumore di fondo.

Finché la Sinistra non capirà che comunicare non significa spiegare, ma farsi capire, continuerà a parlare da sola.

E non c’è peggior sconfitta, per chi vuole – e può – cambiare il mondo.