Qui un cortese contributo ad Alberto Bitonti, docente di Comunicazione politica e istituzionale presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano (Svizzera) sul marketing politico e su quanto incidano in politica – nel processo decisionale – i nuovi e vecchi media.

1. Dalle piazze virtuali a quelle reali, come pensa che sia cambiato il mondo della comunicazione politica dall’avvento dei social media?

Naturalmente i social media hanno rivoluzionato il mondo della comunicazione politica, sotto vari profili. Dal punto di vista dei leader e dei partiti politici, richiamerei due parole chiave: disintermediazione e dati.

La disintermediazione fa riferimento al rapporto più diretto che si può instaurare con gli elettori attraverso i social media, senza dover sottostare come in passato alla mediazione dei gatekeeper tradizionali come giornali e TV. Pensando al ruolo degli algoritmi dei social media, c’è chi parla in realtà di neo-intermediazione, perché ciò che è più o meno visibile nei feed dei nostri social è chiaramente condizionato dagli algoritmi delle diverse piattaforme, che non sono mai neutrali. Sfruttando tali algoritmi è possibile acquisire maggiore visibilità, e per questo i leader politici più accorti si attrezzano in tal senso. Torniamo al medium come messaggio di Marshall McLuhan.

La seconda parola chiave è dati. I social sono parte di un grande processo di datificazione del mondo, in cui ogni nostra attività produce in tempo reale un volume enorme di diversi dati. Si parla a tal proposito di big data. Saper leggere e interpretare correttamente questi dati dà un’opportunità straordinaria di conoscenza sul mondo e sugli orientamenti degli elettori. Per questo l’analisi dei dati ha un valore strategico per chi si occupa di politica e di public affairs. Ne ho parlato diffusamente in questo articolo sul Journal of Public Affairs.

2. Per lei, l’offline quanto è ancora utile in una campagna elettorale ed in che modo potrebbe aver senso strutturare una comunicazione che usi i media classici?

Le attività offline di una campagna elettorale, come ad esempio le iniziative sul territorio, hanno ancora una grande rilevanza, soprattutto a livello locale, perché consentono un contatto più diretto con gli elettori, testimoniando fisicamente una capacità di ascolto maggiore rispetto ad altri canali. Ancora più importanti, tuttavia, rimangono i media classici (giornali, TV, radio), che consentono di arrivare a un numero incredibilmente maggiore di elettori. Nonostante i social media abbiano costantemente accresciuto la propria rilevanza anche come fonti di informazione, i mass media rimangono imprescindibili in virtù del loro potere di agenda-setting e di visibilità pubblica. Una buona campagna elettorale, soprattutto a livello nazionale, deve quindi considerare i diversi canali secondo una strategia integrata, che si fondi su un messaggio coerente, in grado di essere adattato a media diversi e a pubblici di riferimento diversi.

3. Ormai da un decennio, a partire dal primo Obama, noi addetti ai lavori parliamo di Campagna basata sul Bottom Up (contro il “vecchio” top down) grazie all’uso del digitale, nello specifico dei social media. Ecco, lei pensa che davvero tali mezzi possano far sì che proposte dal basso venga recepite dall’alto – quindi dal candidato, dal governante – e siano in grado di influenzare eventualmente l’agenda politica?

Solo in parte. I social media e il digitale offrono straordinarie possibilità di mobilitazione e di partecipazione, sia in campo politico che istituzionale. Ma in entrambi i casi ciò che fa la differenza è la volontà effettiva dei candidati o dei decisori pubblici di recepire o ascoltare effettivamente le istanze che provengono dal basso.

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